C’è la povertà economica. La povertà culturale. La povertà intellettiva. Ma nel mondo esiste anche un altro tipo di povertà. Certamente più nascosta agli occhi di molti e strettamente intima, ma altrettanto impattante sulla nostra società.

La povertà mestruale.

poverta mestruale

Il cosiddetto period poverty – così come viene chiamato globalmente – è un problema gigantesco che al giorno d’oggi (ancora al giorno d’oggi, aggiungerei) colpisce tutte le donne che non hanno possibilità di accedere ai prodotti mestruali. Oltre il danno la beffa, verrebbe da dire: non solo il genere femminile deve mensilmente convivere con i fastidiosi  cambiamenti ormonali ma spesso deve  fare i conti anche con l’impossibilità di farne fronte in modo dignitoso.

Le cause di tutto ciò sono molteplici, dalle questioni culturali al costo elevato degli assorbenti (fattore predominante, che grava dall’est all’ovest del nostro emisfero). Una vergogna, a dirla tutta, più che un problema. Una piaga difficile da sbrogliare, soprattutto in quei Paesi in via di sviluppo dove l’igiene e la cura della persona sono lussi più che necessità.

Ma la povertà mestruale colpisce tutte le donne del continente, indistintamente. E’ lo stesso report, stilato nel novembre del 2020 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, che attesta come la povertà legata al ciclo mestruale sia in realtà un problema costante nell’UE, basti pensare che oggi una ragazza su dieci non può permettersi prodotti sanitari.

Una cifra amara da buttare giù, soprattutto per quei Paesi considerati “capifila” nella scala economica e culturale ma vergognosamente indietro quando si parla di beni essenziali. Come gli assorbenti, per esempio. Che dovrebbero essere considerati meramente per quello che sono: Beni essenziali, appunto. Beni di prima necessità. O qualsiasi altro termine che indichi l’indispensabilità della loro reperibilità. E invece questi pannolini in cotone sono a tutti gli effetti considerati beni di lusso anche nel nostro Bel Paese, dove fino a ieri erano assoggettati ad una tassa – tampon tax – che applicava su di essi un’Iva del 22%.

Fino a ieri, appunto, perchè è notizia (una buona, finalmente) di pochi giorni fa che nella Legge di Bilancio 2022 approvata dalla Camera dei Deputati è stato inserito un emendamento che prevede una riduzione al 10% dell’IVA su tutti i prodotti mestruali – prodotti assorbenti e tamponi non compostabili – mantenendo al 5% quella sugli assorbenti biodegradabili e compostabili. In questa direzione “Vivicot Bio” la nostra linea di assorbenti in puro cotone biologico è stata la prima in Italia ad avere già nel 2011 le certificazioni della compostabilità, portando avanti fin da subito la lunga battaglia sulla riduzione dell’IVA.  Uno stop alla tampon tax che frena l’ingiusta discriminazione fiscale di genere e fa tirare una piccola boccata d’ossigeno alle donne con difficoltà economiche che non potevano permettersi l’acquisto di prodotti per la loro igiene personale. Una decisione doverosa, rispettosa e necessaria. Una decisione “essenziale”, e si, diciamolo pure, che ci fa vergognare un pò di meno.

Ciao a tutte, sono Chiara Elci, giornalista e scrittrice. Ma divido tra programmi in TV e il mio computer, dove sviscero i miei pensieri, sulla società e sul quotidiano.
Ho pubblicato il mio primo libro nel 2015: Il Papavero e la neve.