Matrimoni al tempo della guerra

Qualcuno scriveva “il matrimonio è un combattimento ad oltranza, prima del quale gli sposi domandano al cielo la loro benedizione”.

Qualcuno scriveva “il matrimonio è un combattimento ad oltranza, prima del quale gli sposi domandano al cielo la loro benedizione”.

Ma vale anche quando il cielo è stralciato dai fasci di luce delle bombe?
No, forse chi ha scritto questa citazione non la intendeva proprio così.
Anzi, più semplicemente pensava ad un modo ironico e coscienzioso per descrivere l’unione massima tra due persone.
Certamente non in termini di bombe a grappolo, né tanto meno di combattimenti alla stregua di una vera e propria lotta alla sopravvivenza.
Eppure in queste parole c’è qualcosa che si ciba del presente, della realtà più nera dei nostri giorni. Dove la guerra è guerra davvero, e dove i legami che non vengono spezzati si fortificano. Nel matrimonio.
Esatto. Il matrimonio al tempo della guerra. Sembra quasi un paradosso.
La celebrazione dell’amore in mezzo alla morte.
E che invece qui diventa il più forte veicolo di speranza, la propaganda di un valore eternamente saldo.
Lesya e Valeria, due soldati ucraini, entrambi membri dell’unità di difesa territoriale del Paese, lo hanno fatto davvero. Pochi giorni fa si sono sposati nel bel mezzo di un conflitto. Non in una chiesa adornata di fiori ma nell’atmosfera grigia di un posto di blocco di Kiev. Valeria non indossava il classico abito bianco, romanticamente sognato da ogni donna, ma una tuta mimetica con tanto di elmetto.
In mano un mazzo di rose color pesca. Quelle rose, che a guardarle bene fanno un po’ commuovere, perché rappresentano l’unico stralcio silenzioso di vita in mezzo a tutto il rumore.
Lo hanno fatto dopo 20 anni di convivenza. Lo hanno fatto sotto le bombe e le sirene. Lo hanno fatto perché “viviamo in tempi difficili e non sai mai cosa succederà domani”.
Lo hanno fatto per quel presente a cui sono attaccati con le unghie e con i denti e per quella stramaledetta voglia di futuro. 
La guerra ha portato a questo. Al suo opposto. Al suo salto al contrario. All’amore. In quanto unica arma di salvezza. 
Un bacio, un applauso e un bicchiere di champagne, una piccola finestra di normalità che ha fatto bene al cuore di tanti.
La stessa che pochi giorni più tardi si è aperta in un ospedale di Brovary, località vicina alla capitale, e teatro di drammatici bombardamenti. Un cappellano militare ha unito in matrimonio altri due soldati.
Quindi la risposta è sì. Esiste l’amore al tempo della guerra.
Ed esistono le proposte di matrimonio fatte al checkpoint di un posto di blocco di Fastiv, una città a 60 km da Kiev.
In un video, diventato virale sui social, va in scena un’abbozzo di normalità in uno sketch pensato da alcuni militari, e sfociato nella proposta di matrimonio di uno di loro verso la sua ragazza, fermata con la macchina in attesa di essere perquisita. Il mood cambia quando parte una musica di sottofondo e il passamontagna che copriva il viso del militare si alza.  Tutto il resto è tradizione. L’uomo inginocchiandosi le mostra l’anello, in mezzo agli applausi.
Ancora un mazzo di fiori, per lei, che nascondeva dietro la schiena. Fiori come simbolo di vita. Come un gesto di pura e semplice felicità.
E noi? Noi avevamo bisogno di questo. Lo abbiamo tutt’ora. Di favole. Di storie che distruggono, anche solo per un attimo, tutto il resto. Di piccoli gomitoli di fiducia, tessuti da chi è in prima linea e lotta per la sua vita.
Abbiamo tutti bisogno di quel lieto fine.
Di soldati che regalano fiori.
Di pace. Di colori.
Di mazzi di rose color pesca.

Ciao a tutte, sono Chiara Elci, giornalista e scrittrice. Ma divido tra programmi in TV e il mio computer, dove sviscero i miei pensieri, sulla società e sul quotidiano.
Ho pubblicato il mio primo libro nel 2015: Il Papavero e la neve.